martedì 12 novembre 2019

ITALIANO 1^ - Grammatica. Storia della lingua Italiana: dal latino alle prime testimonianze della trasformazione della lingua

STORIA DELLA LINGUA ITALIANA
Per poter parlare di storia della lingua italiana bisogna fare un grande salto indietro nel tempo per arrivare a quella che viene considerata la radice comune di tutte le lingue europee, e non solo. Per molto tempo si è sostenuto che la lingua da cui sono nate le altre del “mondo occidentale” sia stato l’indoeuropeo: ma già il nome di queste lingue,nella sua genericità, è indice di incertezza e imprecisione.
In effetti questa imprecisione ha portato gli studiosi a cercare di definire con più accuratezza le origini delle parlate che troviamo nel continente Eurasiatico.
La zona di origine è stata così individuata nel territorio della Mesopotamia e il popolo che diede vita alla lingua-madre negli Accadi, che abitarono dopo averla conquistata,quella regione nel III millennio A.C.
Tracce e residui della loro lingua si trovano ancora oggi nelle parlate di luoghi e popoli che sono tra loro lontanissimi e che furono privi di contatti reciproci documentati per millenni:nella lingua degli Inuit (Eschimesi) così come in quella degli Islandesi, nella lingua Russa come in quella Giapponese, nella lingua Indiana come in quella Inglese, nel Russo come in quello Spagnolo.
E’ per questi motivi che si può parlare di una lingua Indoeuropea, solo se si accetta che tale lingua non è quella di un unico popolo ma che i suoi elementi costituiscono patrimonio comune di moltissimi popoli.
Questa lingua Accadica nei secoli, “contaminandosi” con le culture locali, si andò via via trasformando, assumendo in ogni regione caratteristiche che resero ogni parlata autonoma e indipendente da un’altra, pur nata dalla stessa radice.
Si ebbero in questo modo le principali lingue asiatiche ed europee, dal sannito al finnico al greco,  alle lingue slave e germaniche, al magiaro, all’etrusco e, quindi, al latino.  

DAL LATINO AL VOLGARE ITALIANO
Dall’unione delle lingue italiche (Osco, Umbro, Sabino, etc.), alcune delle quali molto primitive soprattutto nella scrittura, dell’Etrusco (di origine incerta ma, con tutta probabilità, orientale) e, in misura preponderante, del Greco, nacque la lingua Latina.
In seguito la lingua Latina si sviluppò mantenendo sempre la differenza tra lingua parlata e lingua scritta; si mantenne anche una grande differenza tra il “classico” usato dalle classi alte e/o colte, il latino volgare, usato dal popolo, e il cosiddetto Sermo Familiaris, cioè la lingua parlata nell’intimità della casa, nei colloqui familiari.
Con la fine dell’impero romano sembrò finire anche la lingua latina quale strumento comune a tutti i popoli che Roma aveva conquistato. In effetti la lingua latina non sparì ma si modificò, ricevendo i contributi delle diverse parlate che si usavano all’interno del vasto territorio dell’impero. Entrarono così a far parte del latino parole, forme ed espressioni nuove, sempre più avvicinando la lingua ufficiale a quella da tutti parlata.
Questa modalità di trasformazione diede vita alle lingue volgari, cioè parlate dal popolo, assai differenti dal latino ufficiale. Il latino rimase usato quasi esclusivamente negli atti ufficiali (leggi, decreti…etc.) e nella pratica liturgica della Chiesa. Ma, pur restando la lingua della cultura “alta”, il latino medievale mostra, nei documenti scritti, attraverso la sempre più frequente comparsa di “errori”e innovazioni, l’inserimento di nuovi usi della lingua, anche se chi scrive è ancora convinto di usare il latino.
L’esempio più classico di ciò è l’indovinello veronese che è il seguente: Se pareba boves, alba pratalia araba et albo versorio teneba, et semen nigro seminaba = mandava avanti i buoi, arava bianchi prati, e teneva un bianco versoio, e seminava un nero seme; fu ritrovato in un codice della biblioteca capitolare di Verona e risale ai primi anni del secolo IX o agli ultimi anni dell’VIII. Non si può stabilire con certezza se si tratti di un latino in cui involontariamente affiorano elementi volgari, o se si tratti di una scelta volontaria.