STORIA
DELLA LINGUA ITALIANA
Per poter parlare
di storia della lingua italiana bisogna fare un grande salto indietro nel tempo
per arrivare a quella che viene considerata la radice comune di tutte le lingue
europee, e non solo. Per molto tempo si è sostenuto che la lingua da cui sono
nate le altre del “mondo occidentale” sia stato l’indoeuropeo: ma già il nome
di queste lingue,nella sua genericità, è indice di incertezza e imprecisione.
In effetti questa
imprecisione ha portato gli studiosi a cercare di definire con più accuratezza
le origini delle parlate che troviamo nel continente Eurasiatico.
La zona di origine
è stata così individuata nel territorio della Mesopotamia e il popolo che diede vita alla lingua-madre negli Accadi, che abitarono dopo averla
conquistata,quella regione nel III millennio A.C.
Tracce e residui
della loro lingua si trovano ancora oggi nelle parlate di luoghi e popoli che
sono tra loro lontanissimi e che furono privi di contatti reciproci documentati
per millenni:nella lingua degli Inuit (Eschimesi) così come in quella degli
Islandesi, nella lingua Russa come in quella Giapponese, nella lingua Indiana
come in quella Inglese, nel Russo come in quello Spagnolo.
E’ per questi
motivi che si può parlare di una lingua Indoeuropea,
solo se si accetta che tale lingua non è quella di un unico popolo ma che i
suoi elementi costituiscono patrimonio comune di moltissimi popoli.
Questa lingua Accadica nei secoli, “contaminandosi”
con le culture locali, si andò via via trasformando, assumendo in ogni regione
caratteristiche che resero ogni parlata autonoma e indipendente da un’altra, pur
nata dalla stessa radice.
Si ebbero in questo
modo le principali lingue asiatiche ed europee, dal sannito al finnico al greco, alle lingue slave e germaniche, al magiaro,
all’etrusco e, quindi, al latino.
DAL LATINO AL VOLGARE ITALIANO
Dall’unione delle lingue italiche
(Osco, Umbro, Sabino, etc.), alcune delle quali molto primitive soprattutto
nella scrittura, dell’Etrusco (di origine incerta ma, con tutta probabilità, orientale)
e, in misura preponderante, del Greco, nacque la lingua Latina.
In seguito la lingua Latina si
sviluppò mantenendo sempre la differenza tra lingua parlata e lingua scritta; si
mantenne anche una grande differenza tra il “classico” usato dalle classi alte
e/o colte, il latino volgare, usato
dal popolo, e il cosiddetto Sermo
Familiaris, cioè la lingua parlata nell’intimità della casa, nei colloqui
familiari.
Con la fine dell’impero romano sembrò
finire anche la lingua latina quale strumento comune a tutti i popoli che Roma
aveva conquistato. In effetti la lingua latina non sparì ma si modificò,
ricevendo i contributi delle diverse parlate che si usavano all’interno del
vasto territorio dell’impero. Entrarono così a far parte del latino parole, forme
ed espressioni nuove, sempre più avvicinando la lingua ufficiale a quella da
tutti parlata.
Questa modalità di
trasformazione diede vita alle lingue
volgari, cioè parlate dal popolo, assai differenti dal latino ufficiale. Il
latino rimase usato quasi esclusivamente negli atti ufficiali (leggi, decreti…etc.)
e nella pratica liturgica della Chiesa. Ma, pur restando la lingua della
cultura “alta”, il latino medievale mostra, nei documenti scritti, attraverso
la sempre più frequente comparsa di “errori”e innovazioni, l’inserimento di
nuovi usi della lingua, anche se chi scrive è ancora convinto di usare il
latino.
L’esempio più classico di ciò è l’indovinello veronese che è il seguente: Se pareba boves, alba pratalia araba et albo versorio teneba, et semen
nigro seminaba = mandava avanti i
buoi, arava bianchi prati, e teneva un bianco versoio, e seminava un nero seme;
fu ritrovato in un codice della biblioteca capitolare di Verona e risale ai
primi anni del secolo IX o agli ultimi anni dell’VIII. Non si può stabilire con
certezza se si tratti di un latino in cui involontariamente affiorano elementi
volgari, o se si tratti di una scelta volontaria.