La retroguardia dell’esercito
Franco è stata attaccata dai Saraceni sul passo di Roncisvalle. Per i i soldati
di Carlo Magno non c’è scampo. Anche il più forte di loro, il conte Orlando,
viene ferito a morte.
Il conte Orlando, ormai reso
quasi cieco a causa delle numerose ferite subite, si alza, esangue. Tenta, battendola più volte su una roccia, di
rompere la propria spada, Durendala o Durlindana, che in tante occasioni lo
aveva servito al servizio di Carlo Magno, donandogli sempre la vittoria. Ma la
spada non si rompe. Si rivolge, allora, alla Madre di Dio per chiedere aiuto. Vedendo
che i suoi sforzi sono vani, parla con la propria arma, ricordando tutti i campi
di battaglia in cui gli era stata fedele amica: dalle terre di Francia, all’Italia,
alla Germania, alla Polonia e alla Bulgaria, senza tralasciare le terre degli
Angli, degli Scozzesi e degli Irlandesi, fino ad est, a Costantinopoli, ricorda
le conquiste fatte. Infine chiede a Dio che non cada nelle mani degli “infedeli”,
così che la Francia non ne sia umiliata.
Quindi sente che la morte
comincia ad impossessarsi di lui, in ogni sua parte. Si stende sotto un albero
e posa accanto a sé la spada e il corno, l’Olifante. Poi volge il capo in
direzione del nemico, così che si possa dire che è morto senza fuggire,
voltandogli le spalle. Confessa a Dio i propri peccati e ne chiede perdono tendendo
il proprio guanto verso il cielo.
(Orlando, dopo aver suonato il corno per avvertire Carlo, muore. Il re,
richiamato dal suono, torna indietro e scopre la disfatta della sua
retroguardia.)
Dopo che Orlando è morto, giunge
Carlo. Vede e osserva quanto è accaduto. Cerca il suo paladino prediletto, lo
chiama. Ma non solo lui, anche tutti gli altri che erano con lui: l’arcivescovo
Oliviero, Gerino, Genero, Ottone, Berengario, Ivo e Avorio, Engeliero, Sansone,
Anseigi, Gerardo da Rossiglione. Ma invocare i loro nome non serve a nulla.
Nessuno risponde. E proclama il suo dolore per non essere stato presente quando
si doveva combattere. Si strappa i peli della barba e quanti erano con lui
piangono.
Infine, Carlo fa suonare le
trombe per dare il segnale all’inseguimento dei Saraceni che avevano attaccato
la sua retroguardia a Roncisvalle. Comincia la caccia che si protrae fino a
sera. Giunto questo momento il re scende da cavalo e prega che Dio conceda che
la notte tardi ad arrivare, prolungando il giorno, per poter continuare la
caccia. Allora un angelo scende dal cielo per comunicargli che la sua preghiera
è esaudita: la luce continuerà ad esserci, perché Dio sa che ha perduto la
parte migliore della sua Nazione; potrà vendicarsi dei nemici che, a tradimento,
hanno compiuto la strage dei Paladini.