Bisognerà arrivare però, a Dante Alighieri (Firenze 1265-Ravenna
1321) perché il volgare toscano assuma definitivamente il carattere e
l’importanza di una lingua, descritta e resa ufficiale nel suo trattato De vulgari
eloquentia (Del parlare volgare),
nel quale Dante descrive in latino
il volgare, e consacrata come lingua anche poetica nel suo capolavoro, la Commedia.
Chi darà definitiva
sistemazione all’uso del volgare in poesia sarà Francesco Petrarca, mentre, per quel che riguarda la prosa, ciò
sarà fatto da Giovanni Boccaccio
(entrambi tra XIII e XIV secolo).
Dal secolo XIII si assiste
anche ad un crescente uso pratico del volgare (elenchi di spese, di tassazione,
lettere di mercanti, ecc.); si sviluppa soprattutto il fenomeno del “volgarizzamento”,
cioè della traduzione, dal latino e dal francese, di testi di vario genere,
storici, morali, narrativi, enciclopedici (ricordiamo, per tutti, il Tresor e il Tesoretto di Brunetto Latini, uno dei maestri più amati di Dante). A
scopi pratici risponde anche la pubblicazione dell’Ars Dictandi (arte del
parlare) nella nuova lingua da parte di Guido
Faba che, intorno alla metà del secolo XIII, offre modelli di discorsi e di
lettere al nuovo pubblico bolognese.